L'influenza del genere sulle nostre attitudini scientifiche.

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In un interessante articolo, Diego Moriggia ci ricorda che, nel 2005 Lawrence Summers – rettore dell’Università di Harvard – si espresse, in maniera piuttosto netta, sul perché posizioni di vertice accademico in ambito scientifico siano occupate maggiormente da uomini; ebbene, Summers dichiarò che non v’è alcuna ragione da attribuire ad eventuali discriminazioni delle carriere e la causa principale, invece, dev’essere cercata nelle differenze genetiche presenti tra maschi e femmine nel ragionamento scientifico. In altre parole, i maschi sono naturalmente più portati delle femmine nell’avere successo in ambito scientifico.

Nell'articolo di Moriggia vengono quindi messe a confronto le tesi di due studiosi e docenti dell'università di Harvard, Elizabeth Spelke e Steven Pinker, a cui fu chiesto, pochi mesi dopo le dichiarazioni del rettore Summers, di esprimersi su quello che è sempre stato uno temi più controversi in ambito scientifico: quanto le differenze di genere maggiormente riscontrate nel corso di vari esperimenti, in ambito cognitivo, siano da attribuirsi a fattori biologici e quanto a fattori ambientali (educativi e culturali).

Premettiamo che non ci appassiona molto questa "ossessione" nell'identificare le possibili differenze di genere in ambito cognitivo ma che troviamo, al contrario, molto interessante approfondire tutti gli studi mirati a comprendere il peso che, rispettivamente, fattori ambientali e biologici possono avere nel determinare lo sviluppo di una persona, donna o uomo che sia
. Da più parti ormai arrivano, infatti, conferme del fatto che il nostro cervello sia estremamente plastico (neuroplasticità) e che, quindi, lo si possa "educare" in maniera mirata, rafforzando o depotenziando caratteristiche e approcci precedentemente consolidati e più o meno innati.

Tornando all'articolo di cui sopra e cercando di sintetizzare all'estremo, i due studiosi presentano numerosi dati scientifici per sostenere le rispettive posizioni. In particolare: Elizabeth Spelke, ricercatrice nell'ambito dello sviluppo cognitivo, ritiene che le differenze maggiormente osservabili tra i due generi, rispetto a determinate abilità in ambito scientifico, siano per lo più attribuibili a fattori sociali e culturali, mentre il suo collega Steven Pinker, studioso dell'acquisizione del linguaggio nell'essere umano, considera come centrale l'effetto incrociato della componente biologica, secondo cui donne e uomini avrebbero per natura diverse attitudini, e di quella ambientale, nella determinazione delle differenze di genere.
Vale la pena precisare che entrambi gli studiosi, tuttavia, concordano sul fatto che vi siano numerose componenti biologiche soggettive, anche intragenere, che influenzano attitudini e abilità in maniera "innata".
(Per saperne di più: apri link)

Ora, a prescindere dalle posizioni scientifiche che si reputano più valide, il punto è capire che uso si voglia fare poi di queste conoscenze e considerazioni. Le vogliamo utilizzare per orientare nel miglior modo gli approcci educativi verso le bambine e i bambini, tenendo conto di eventuali differenti modalità di apprendimento (qualora realmente ce ne fossero) ed evitando il più possibile di far pesare condizionamenti ambientali legati a stereotipi di genere oppure vogliamo usarli per "giudicare" a priori le abilità di qualcuno, in un determinato ambito, sulla base del suo genere di appartenenza?

A cosa ci serve davvero sapere se le donne sono, mediamente, più portate per il calcolo matematico e gli uomini per le trasformazioni mentali di oggetti a tre dimensioni? A tenere in considerazione, eventualmente, le diverse modalità di apprendimento o a ritenere a priori meno adatta/o una donna o un uomo che decidano, mossi da autentica passione e interesse, di occuparsi di una disciplina per cui il proprio genere non è ritenuto (a torto o a ragione) quello "dominante"?
A noi appare sicuramente più utile valutare le competenze di ciascuna/o con la mente sgombra da pregiudizi legati al genere. Che si tratti poi di eccezioni che confermano regole o di casi che dimostrano l'infondatezza delle "regole" stesse, potrebbe forse, per un attimo, passare in secondo piano.


- V. D. -

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