Diventata la responsabile delle pagine culturali di Repubblica dopo l’uscita di Enzo Golino dal giornale, Rosellina Balbi aveva studiato a Napoli al liceo Umberto I negli stessi anni del giovane Giorgio Napolitano e poi aveva iniziato a lavorare alla gloriosa rivista Nord e Sud di Francesco Compagna, suo amico del liceo.
Sempre attenta e sensibile ai temi riguardanti la società e il mondo circostante, ha affrontato e descritto alcuni argomenti prima di molti altri colleghi, comprendendo con largo anticipo che alcune questioni come la paura e l’intolleranza, per esempio, sarebbero state tra i temi principali degli anni a venire. E su questi temi ha scritto due libri da ricordare: "Madre paura" e "All’erta siam razzisti".
Rosellina Balbi è stata una giornalista e una scrittrice molto attenta e molto sensibile a temi che da sempre pervadono la società italiana, temi su cui da sempre tutti noi ci interroghiamo e che spesso compaiono sulle pagine dei giornali: la paura e il razzismo.
Due questioni, due argomenti su cui Rosellina Balbi ha riflettuto in modo particolare, con grande attenzione, dedicando a questi due temi due libri molto importanti: “Madre paura”, quell’istinto antichissimo che domina la vita e percorre la storia, pubblicato da Mondadori nel 1984 nella collana saggi; e “All’erta siam razzisti”, pubblicato sempre da Mondadori nel 1988.
Da giovane aveva frequentato il liceo classico Umberto I, negli stessi anni del giovane Giorgio Napolitano. Napoletana ma con una madre ebrea russa, Rosellina Balbi si era fatta le ossa, dal punto di vista professionale, lavorando con Francesco Compagna, suo amico del liceo, alla rivista, importante e autorevole, Nord e Sud, insieme al quale l’aveva fondata e poi diretta per circa dieci anni. Una rivista che fu, per tanti giornalisti e intellettuali italiani, una palestra ricca di fermenti, un luogo pieno di intelligenze e fervido di idee.
Prima di entrare a far parte del gruppo di giornalisti che dettero vita all’esperienza di Repubblica, partecipando lei stessa alla fondazione del giornale e poi diventandone la responsabile delle pagine culturali, dopo l’uscita di Enzo Golino dal giornale, Rosellina Balbi aveva lavorato anche al Mondo e poi al Globo con Fausto Coen.
Si muoveva tra la storia e la politica, Rosellina, senza nessun ossequio alle ideologie, restando fedele soltanto alla ragione delle cose e alle convinzioni maturate nell’esperienza privata e collettiva di tanti anni.
Madre paura, quell’istinto antichissimo che domina la vita e percorre la storia è un libro affascinante perché ognuno di noi può ritrovarvi sensazioni e paure, appunto, che gli appartengono, provate da bambino, da ragazzo e da persona adulta.
Un libro contro la paura. Ma la paura - non bisogna dimenticarlo - fa parte della vita - sembra ammonire Rosellina Balbi - come tante altre cose.
“La paura è un istinto, un’emozione - ha detto la Balbi in un’intervista rilasciata alla Rai molti anni fa - che noi ci portiamo dietro come specie dalla preistoria e come individui dalla nascita.
Quando dico convivere con la paura intendo dire ‘avere coraggio’ ma non coraggio da incosciente come quelli che dicono di ignorare la paura oppure se dicono la verità mentono perché la paura è sempre stata un prezioso segnale di allarme, che mette in guardia contro minacce, contro pericoli che ci sovrastano e ci da la possibilità di mobilitare le nostre risorse per affrontare questa minaccia, questo pericolo nel miglior modo possibile. Questo è il coraggio: il coraggio è una lucida e razionale convivenza con la paura per trarne quello che di benefico ci può essere e non farsene dominare e quindi risponderne con comportamenti irrazionali…”
Paura individuale, quella che ognuno di noi si porta dentro dalla nascita, e paura collettiva, quella che talvolta ci troviamo a provare come gruppo di persone, di comunità, di società.
Alcune pagine del volume Rosellina Balbi le dedicò proprio a una delle paure collettive della storia degli uomini: il terrore, ovvero a una precisa fase della storia della Rivoluzione francese. Sottolineando, poi, come tutti i dittatori a cominciare da Hitler e da Stalin abbiano fatto leva proprio sulla paura per affermare il proprio potere personale. Non a un caso che vengono fatti proprio questi due nomi: tutti e due infatti guidarono dittature totali, regimi totalitari.
“Nella paura collettiva - sono le parole di Rosellina Balbi intervistata dalla Rai all’inizio degli anni Ottanta - c’è qualcosa di che sfiora l’irrazionale. Un regime che promette di ristabilire le gerarchie, l’ordine, la sicurezza, rassicura le masse che finiscono per credere in qualche modo di poter succhiare dal capo la propria invincibilità, sentendosi così potenti e partecipi della potenza del capo.”
Un capitolo del libro è dedicato alla paura che ebbe un paese come gli Stati Uniti di veder nascere e affermarsi il comunismo, un paese in cui il comunismo non c’è mai stato. Dove però si realizzò il maccartismo.
Poi viene raccontata la grande paura che suscitò Orson Welles con l’annuncio alla radio dell’arrivo dei marziani.
All’erta siam razzisti è un altro importante libro di Rosellina Balbi dal momento che in esso viene affrontata una questione sempre presente nella società italiana, a volte sopita e altre volte chiara ed esplicita a causa di episodi eclatanti.
Intolleranza, discriminazione, atti di violenza. Episodi, disseminati nella nostra quotidianità, di ostilità, diffidenza o di paura per il “diverso”. Tanti volti di un razzismo, verso gli immigrati di colore o verso i meridionali, da cui noi italiani ci credevamo essere immuni. Per combatterlo non basta chiedersi “che fare”.
Prima è necessario capire “di cosa si tratta”. Proprio da questa domanda prende le mosse Rosellina Balbi per accompagnare il lettore in un viaggio esplorativo nelle radici psicologiche del pregiudizio, nella maturazione delle teorie della razza in Europa, nelle cause storiche delle principali forme di persecuzione conosciute in Occidente.
Un viaggio nella nostra storia e soprattutto un viaggio dentro noi stessi: per cercare di capire, se ci riconosciamo razzisti, quali sono le più autentiche e profonde motivazioni delle nostre prevenzioni e delle nostre azioni. Nel caso in cui ci riteniamo antirazzisti, per verificare se lo siamo veramente e se è sufficiente partecipare a cortei di protesta, firmare documenti o assistere a concerti contro la discriminazione per metterci in pace con la coscienza.
“Se ciascuno di noi facesse davvero i conti con se stesso, a proposito del razzismo, questo confronto potrebbe rappresentare, se non il principio della fine, almeno la fine del principio”.
“Nel 1981 - scrive Balbi - muore a Udine Giacomo Valent, sedici anni, figlio del capo cancelliere dell’ambasciata italiana in Jugoslavia e di una principessa somala.
Lo ha attirato in un casolare un suo compagno del liceo linguistico Kennedy, con l’intento di “dargli una lezione” insieme a un terzo ragazzo. Giacomo muore accoltellato. Il giovanissimo assassino dirà poi che non ha ucciso il compagno per il colore della sua pelle ma in un raptus di follia”.
“Nello stesso anno al liceo Virgilio di Roma un’alunna ebrea, la quattordicenne Paola Caviglia, viene fatta ruzzolare per le scale da qualcuno che le grida dietro ‘Scansati, sporca ebrea’.
Sempre nel 1981 nel popolare quartiere romano di San Lorenzo compaiono scritte che incitano a cacciar via i “marocchini”, ma noi non siamo razzisti si affrettano ad affermare gli abitanti del quartiere. A Milano - sempre in quello stesso periodo - compaiono scritte come ‘ebrei razza bastarda’ oppure ‘ebrei voi siete i mostri’. A Terni il proprietario di un negozio vieta l’ingresso ai clienti di religione ebraica…A Bologna appare la scritta ‘Ebrei ai forni’. Una variante si registra a Roma dove, richiamandosi forse a massacri di gran lunga anteriori a quelli nazisti - su un muro della metropolitana si può leggere ‘Ebrei al rogo’ ”.
Insomma All’erta siam razzisti è un libro importante dal momento che in esso viene affrontata una questione che è sempre stata molto dibattuta e che sembra essere una risposta ad un altro libro uscito nello spesso periodo e cioe’ Gli italiani sono razzisti?
Che Giorgio Bocca, sempre di Repubblica, aveva pubblicato dopo una delle sue tante inchieste.
In un’intervista ad Andrea Barbato, per la trasmissione della Rai Va’ Pensiero del 1988, Rosellina Balbi disse: “Io credo che non gli italiani ma un po’ tutti, tutti gli esseri umani hanno una propensione se non al razzismo al pregiudizio”.
E del resto è abbastanza naturale che ciascuno di noi preferisca stare con le persone del proprio gruppo. Che poi questo sia un gruppo etnico, che sia un gruppo culturale, che sia un gruppo nazionale è secondario.
Razzismo e antisemitismo, dunque.
“L’occasione per far esplodere la propensione al pregiudizio e al razzismo si deve proprio alla grande emigrazione di persone di colore degli ultimi anni. Non dobbiamo dimenticare - ha detto ancora Rosellina Balbi ormai molti anni fa intuendo con un certo anticipo forse cosa sarebbe accaduto oggi - che noi siamo il grande paese degli emigranti: storie, leggende, canzoni. Noi andavamo fuori, adesso le cose si sono rovesciate e siamo diventati una terra di immigrazione. Ecco perché prima potevamo dire con soddisfazione che il razzismo non allignava molto da noi. Non c’erano le condizioni che adesso ci sono…Il razzismo è nato in Occidente. In Occidente sono nate le teorie della razza. La gerarchizzazione delle razze umane è nata nel ‘700, il secolo dell’Illuminismo. Sembra un paradosso che un grande filosofo illuminista come Voltaire, autore del Trattato sulla tolleranza, era personalmente antisemita e violentemente contro i neri che considerava inferiori”.
Rosellina Balbi nel suo libro non ha soltanto ricordato episodi precisi molto spiacevoli ma ha fatto una attenta analisi su cosa sia davvero il razzismo, proprio per evitare che qualcuno possa dire che si è trattato di episodi generici di violenza e non rivolti razzialmente, partendo dall’analisi del saggio di George Lachmann Mosse, nato tedesco ma naturalizzato statunitense, Il razzismo in Europa. Dalle origini all’Olocausto. E ha aggiunto Rosellina: “Non vorrei che fosse una forma di rassicurazione che poi ci faccia perdere di vista perlomeno il pericolo che possa accadere: ammettiamo che ci sia un posto di lavoro tolto - anche se chi arriva non toglie il posto di lavoro perché gli immigrati in genere prendono lavori che gli italiani non vogliono - si tratterebbe di una forma di teppismo o pregiudizio sociale che potrebbe trasformarsi presto in razzismo”.
Rosellina Balbi, che è stata una persona molto seria, una delle poche donne che si impegnò molto nella divulgazione culturale scrisse altri due libri importanti: Hatikvà. Il ritorno degli ebrei nella Terra Promessa pubblicato da Laterza nel 1983, con il quale tra l’altro ha vinto L’Aquila d’oro del premio Estense. Un libro che non riguarda propriamente lo Stato di Israele ma riguarda la storia dei 70-80 anni che hanno preceduto la nascita dello Stato di Israele.
Un libro scritto perché nel 1982 la Balbi, dopo la strage di Sabra e Chatila, si era resa conto che si era alzato un gran polverone in cui si faceva tutt’uno degli autori materiali della strage che erano dei libanesi, il ministro della difesa israeliano che non aveva impedito che la strage si compisse. Poi nello stesso calderone si metteva il governo intero di Israele, poi ci si metteva il diritto di Israele ad esistere, poi ci si metteva tutto il popolo israeliano e infine ci si mettevano addirittura gli ebrei di tutto il mondo. Alla parola sionismo si dava un significato sempre e soltanto estremamente negativo: militarismo, espansionismo, colonialismo, addirittura nazismo. “Mi sembrava del tutto ingiusto, arbitrario e sbagliato creare questa serie di equazioni che non reggono storicamente”.
E poi Il lungo viaggio al centro del cervello anche questo pubblicato da Laterza nel 1981, e successivamente nella collana dei saggi Mondadori, firmato insieme al fratello, lo scienziato Renato Balbi che aveva elaborato la teoria dell’evoluzione stratificata.
In tutte le cose che faceva ci metteva una passione profonda fino a dichiararsi addirittura faziosa perché le piaceva essere di parte pur sapendo benissimo quanto contava la ragione e quanto contava la passione.
Di Rosellina Balbi ha scritto Paolo Mauri su Repubblica, ricordandola dopo dieci anni dalla sua morte: “Straordinario personaggio, anche nella vita privata, non tollerava che qualcuno guardasse la partita di calcio con lei tifosa del Napoli e curiosissima del gioco in genere: ‘non sopporto i commenti degli incompetenti’ diceva. Altra sua passione erano i gialli che divorava nel tempo libero o in vacanza alternandoli ai prediletti saggi di storia. Credo si divertisse ad immaginarsi Miss Marple”.
Il giornale era la sua prima casa: nell’altra ci stava davvero poco e aveva ridotto al minimo le seccature della vita privata.
Ha ricordato ancora nel 2001 Paolo Mauri che ha Repubblica ha occupato lo stesso ruolo di responsabile delle pagine culturali: “guai, per esempio, a regalarle una pianta o dei fiori. Protestava immediatamente che non aveva tempo di cambiare l’acqua e tanto faceva che alla fine, se il dono arrivava da qualche inconsapevole, quei fiori e quella pianta trovavano subito un’altra destinazione”.
Come giornalista si era sempre occupata dei grandi temi del vivere, aveva sempre portato avanti una personale battaglia contro i preconcetti che tanto avevano condizionato l’emancipazione delle donne, aveva analizzato con lucidità l’antisemitismo che era ed è sempre pronto a riaffiorare. Ha scritto ancora Paolo Mauri: “Lì sembrava scrivere col sangue, tanto era forte l’investimento emotivo. Ricordo ancora quando scrisse un articolo su una notissima ditta tedesca che durante il nazismo aveva sfruttato i prigionieri ebrei. Vennero in redazione in veste di ambasciatori di pace alcuni dirigenti di quella ditta a dire che il passato era ormai sepolto e che le generazioni cambiano. Ma Rosellina si rifiutava di utilizzare un diffusissimo prodotto di quella ditta perché era convinta che non si debba dimenticare così presto”.
E, siccome era molto tifosa Rosellina Balbi, forse uno degli ultimi articoli che scrisse con più gioia fu quello che Scalfari le chiese per lo scudetto del Napoli.
Il suo pezzo, di cui lei andava fiera, uscì in prima pagina col titolo che diceva scusate il ritardo.