Il coraggio di raccontare Intervista a Edith Bruck

Stella inattivaStella inattivaStella inattivaStella inattivaStella inattiva
 

Intervista a Edith Bruck in occasione dell’uscita del suo libro "SIGNORA AUSHWITZ" pubblicato da Marsilio

- Lei ha scritto nel volume SIGNORA AUSCHWITZ: “la mia obbedienza a coloro che avevo ascoltato, guardato morire, dura da oltre mezzo secolo: con le testimonianze che sono contenute nella maggior parte dei miei libri e la mia presenza, soprattutto nelle scuole, ovunque fossi stata invitata, citata, interrogata nella veste di sopravvissuta ad Auschwitz. Veste che portavo come fosse stata su misura e ritenevo questo normale, naturale, giusto quasi come fossi un soldato animato di dovere…

Eppure leggendo il suo libro, in alcuni passi soprattutto, si percepisce un desiderio di fuggire da quel vissuto, si coglie una certa volontà di non dover per forza ricordare. Come spiega questa sua duplice pulsione, il dovere della memoria e il desiderio di dimenticare?

Non ho desiderio di dimenticare, ho desiderio di fuggire. Chi non ha vissuto questo orrore non sa cosa vuol dire andare, per mezzo secolo, a testimoniare nelle scuole. Nessuno sa quanto può essere pesante, fino a distruggerti completamente la salute, la vita e la psiche, andare a raccontare Auschwitz ai ragazzi. Con le mie forse ho fatto più di quello che avrei potuto. Mi sono ammalata: ormai mi trascinavo nelle scuole come una moribonda, con dolori e con medicine, pur di restare in piedi. Stavo malissimo, entravo e uscivo dall’ospedale. La mia malattia era Auschwitz, non era altro. Mi ha fatto ammalare e quindi volevo fuggire.
Quando parli in una scuola con i ragazzi, che siano cento, duecento, cinquanta o trenta, e racconti la tua storia ti stanchi moltissimo.
Diventi una specie di robot. Poi quando finisci di raccontare, dopo due ore, la tua esperienza dalla A alla Z e si alza un ragazzo che ti domanda: “E’ tornata con sua mamma?” non solo devi avere una grande resistenza fisica ma devi avere anche una grande pazienza perché quel giovane non ha capito niente. Poi hai quasi pietà di questi ragazzi che devono sapere queste cose. Vai a buttare sulle loro fragilissime spalle tutto questo orrore e quindi sei una portatrice di male, di non speranza. Nonostante il desiderio di fuggire mi dico che  mio dovere continuare ad andare nelle scuole a testimoniare. Altrimenti perché sarei sopravvissuta?

Quando esco da queste scuole e so che 4,5, 3, 1, 6 ragazzi hanno capito quell’orrore ho la certezza che la mia vita non è inutile e che non è stata inutile la mia testimonianza. Il mio passato è una sofferenza e una gioia, un boomerang continuo. E’ una galera eterna da cui non si esce.

-Quando le càpita di ripensare al fraterno amico Primo Levi, ritiene condivisibile il suo gesto estremo, il suicidio?

No.

-Perché?

E’ una cosa molto strana. Io non credo che la nostra vita ci appartenga. Credo che la vita salvata ad Auschwitz appartenga a tutti i morti. Noi viviamo e parliamo perché loro non possono più farlo. Almeno io penso questo, può darsi che sia tutto campato in aria. Non può esserci nessun motivo per il quale, tra milioni di persone, tu ti sei salvata: perché tu e non un altro? Penso che Primo Levi in quel momento abbia perso davvero la ragione, lui che non ha mai perso la ragione nemmeno nei posti più allucinanti della sua vita, lui che era un uomo limpido e razionale. Può darsi che abbia avuto un momento di smarrimento che gli è stato fatale. Levi era molto lucido anche nei campi di concentramento. Chi, come lui, è arrivato nei campi in età matura con una formazione culturale e intellettuale, cercava lucidamente di vedere questa mostruosità. Io non capivo niente: dalla scuola elementare sono caduta ad Auschwitz. Quel giorno mi sembrava un’allucinazione. Può darsi che Primo, che quando fu deportato era già adulto e antifascista, abbia sofferto più di me. Lui ha sofferto moralmente. Ha provato un dolore non soltanto di sentimenti e di carne, come me, ma una sofferenza morale e mentale che è terribile.

-Nel 1983 è stato proiettato, nelle sale cinematografiche del suo paese, un filmato ungherese di un’ora e trenta sulla sua vita. Come si è sentita, cosa ha provato quando l’ha visto, quando si è rivista in quel documentario?

Non si può spiegare. Sia durante la lavorazione del film sia quando l’ho rivisto ho percorso un Golgota  che non si può immaginare. Quello è stato il più grande sacrificio che io abbia fatto. Ho accettato perché volevo parlare nel mio paese d’origine, un paese antisemita e nazifascista. Ho accettato di fare il film per testimoniare. E’ stato molto utile, non per me ma per l’Ungheria. Quando l’hanno proiettato nelle sale la gente non riusciva a vederlo per quanto piangeva. Si vedeva la mia casa distrutta e mi vedevo io che mangiavo la terra, che baciavo il tufo con cui era stata costruita.

-Che cosa vuol dire per un reduce di Auschwitz perdonare?

Non cominciamo col perdonare.

-Per un sopravvissuto è possibile accettare l’idea del perdono?

No. Io non odio nessuno. Non farei del male nemmeno alla persona che ha bruciato mia madre. Sono una laica ma ho anche una religiosità che va al di sopra di qualsiasi religione quotidiana, praticata. E quindi non ho alcun odio verso nessuno. Posso perdonare solo per me perché nella cultura ebraica il perdono è del singolo individuo. Credo però che il perdono non sia un bene. L’uomo deve fare i conti con la propria coscienza, ogni singolo individuo deve riflettere e avviare un processo di cambiamento dentro di sé. Io non posso assolverti, sei tu che devi imparare ad assolvere te stesso, sei tu che devi percorrere la tua strada fino al tuo perdono, sei tu che devi cambiare. Se io ti perdono tu non cambi.    

- Francesco Neri -

 

  • Email: info@visionedonna.blog

Segui i nostri social

Il nostro team

Search

Questo sito utilizza cookie, anche di terze parti, per migliorare la tua esperienza e offrire servizi in linea con le tue preferenze. Chiudendo questo banner, scorrendo questa pagina o cliccando qualunque suo elemento acconsenti all’uso dei cookie. Se vuoi saperne di più riguardo i cookie vai ai dettagli.